Mi sono svegliata al rumore degli elicotteri sopra Downtown ed ora sto andando nell’Upper West Side.
In piedi, cerco un appoggio che mi permetta di scrivere sul cellulare anche a bordo di una carrozza carica di pendolari.
Con gli auricolari nelle orecchie, ascolto a ripetizione il brano senza parole “Are You In Love” della colonna sonora di 3MSC e guardo gli sguardi della gente cercando di svelarne i pensieri… Osservo la straordinaria differenza di volti che solo New York accoglie.
Stiamo andando tutti al lavoro e ora, qualcuno è sceso alla fermata di Wall Street, come fosse semplicemente un altro giorno. Altri scenderanno a Times Square per recarsi in ufficio, mentre la polizia è ovunque, soprattutto nelle zone più trafficate.
NYC sta con Boston, l’America sta con Boston, il mondo sta con Boston.
Non so davvero cosa significhi “stare con” qualcuno che abbia vissuto la tragedia in prima persona, perché se anche il mio cuore è sprofondato nel più totale sconforto e in un’immensa tristezza, non posso che immaginare il dolore e il trauma di chi l’abbia vissuto.
Al momento dell’esplosione ero in pausa su di una roccia a Central Park da cui godevo dello sbocciare della primavera con Monica.
Tornata al lavoro non ho saputo nulla dell’accaduto fino alle 18 quando, aprendo internet dal cellulare, non potevo e non volevo credere alle notizie che leggevo.
Nell’Upper East Side la gente passeggiava, rideva, faceva distrattamente shopping, probabilmente ignara, come me fino a poco prima, dell’accaduto.
Entrata da The Food Emporium per un cappuccino prima di tornare al lavoro, ho visto in tv le scene della tragedia mandate in onda “in loop” e il successivo discorso in diretta di Obama.
Accanto a me una newyorkese di origini indiane ha detto: “hanno colpito Boston perché è il simbolo di tutti i maratoneti, è l’evento sportivo più importante e più gioioso per tutti gli sportivi… Forse lo era, fino ad oggi. È una tragedia. È successo lì perché non c’è così tanta sicurezza come a NYC”.
Un ragazzo ha aggiunto: “Con quello che paghiamo dovremmo essere più protetti, cose del genere non dovrebbero succedere. Non si può prevenire l’odio di qualche pazzo insoddisfatto della propria vita, ma di certo si può fermare la follia che ne deriva. Dal 9/11 dovremmo aver imparato a difenderci meglio di così…”
Tutti i presenti hanno subito associato l’accaduto al crollo delle torri.
Tempo fa, un amico sopravvissuto a quella tragedia (lavorava in uno degli edifici distrutti) mi aveva detto: “In ogni film, al momento della scena apocalittica, si vede sempre una marea di gente che fugge all’impazzata scavalcando, come in preda ad un raptus di follia, chiunque si trovi in mezzo. Non è assolutamente stato così l’11 settembre. Di fronte all’assurdità di quel che stava succedendo, ai corpi che si vedevano cadere dalle finestre dei piani superiori, è stata sorprendente la solidarietà di tutti i presenti!!! Disposti in file ordinate, cercavamo tutti di liberare il più velocemente possibile l’area, e ognuno si faceva carico di assicurarsi che amici e colleghi fossero in salvo. Era incredibile”.
Sapevo che Sonny avrebbe partecipato alla maratona di Boston; aveva invitato Luca e me a raggiungerlo perché avrebbe potuto ospitarci… Lo avevo conosciuto il giorno della mancata maratona di New York quando, nonostante fosse arrivato dal Wyoming per correre, aveva poi deciso di unirsi a noi per fare volontariato a Staten Island.
Gli ho subito mandato un sms per assicurarmi che stesse bene, anche emotivamente, e sono stata in ansia per lui finché alla sera non gli ho parlato al telefono.
Aveva tagliato il traguardo da dieci minuti quando è esplosa la prima bomba. Ha assistito al caos e, esausto ed affamato, non riusciva a capire in quale direzione andare, dove poter fuggire.
Nel panico totale di chi si trovava ad affrontare questa situazione assurda, altri medici, volontari, soccorritori scendevano in campo ad aiutare chiunque di trovasse in difficoltà.
Ci sono stati tanti EROI, e ancora si cerca il “villain“, domandandosi quali siano le ragioni che lo abbiano condotto ad agire in modo così spietato e senza senso contro gli innocenti.
Sono d’accordo con Vittorio Zucconi quando dice (twitta): “Cercare di capire motivi di attentato come Boston è impossibile, perché chi lo compie non segue i nostri processi logici. Un altro universo.”
Da ieri sera mi sono rifugiata in un silenzio solo apparente, perché i miei pensieri non hanno mai smesso di urlare.
Finalmente ora, di fronte alla vista di questo messaggio di Marthin Luther King Jr proiettato tutta notte sul BAM, mi riempie di una nuova forza.
È importante non lasciare che il terrore e la paura ci limitino. Dobbiamo invece fare sempre di più per riempire d’amore almeno la vita di chi ci è accanto.
Perché un messaggio di speranza può e deve portare ad un cambiamento nell’umanità, e perché crederci è l’unico modo in cui per me abbia senso vivere.